Storia | Thailandia

A schiena d’elefante attraverso il SiamBreve introduzione storica sulla presenza europea nel Siam - Racconti di viaggiatori europei

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A schiena d’elefante attraverso il Siam

Lo storico e giornalista tedesco” Markus Bötefür ha pubblicato nel 2009, in lingua tedesca, “A schiena d’elefante attraverso il Siam” : oltre a un’introduzione alla storia della presenza europea nel Siam, dal XV° al XX° secolo, il libro presenta una raccolta di racconti di viaggiatori europei nel Siam che si estende su un periodo di 500 anni.

L’autore evidenzia la cronologia e le caratteristiche principali dei viaggi, mettendo in luce una serie di punti chiave che illustrano come i re e il popolo del Siam abbiano reagito all’arrivo degli stranieri.

I racconti sono stati scelti in funzione della loro capacità ad evocare la storia del Siam nel momento in cui furono scritti. Grazie all’effetto a specchio, opinioni, pregiudizi e giudizi espressi dai viaggiatori formano un ritratto non solo del Siam e dei suoi abitanti, ma pure delle fantasmagorie sviluppate dagli europei esposti all’ignoto e alla diversità. Il libro contiene testimonianze private ​​(lettere e diari di viaggio) così come documenti ufficiali scritti su richiesta di varie istituzioni.


Breve introduzione alla storia della presenza europea nel Siam

Il primo racconto sul regno del Siam arrivato in Europa è dovuto a un commerciante di Chioggia, Niccolò di Conti. Partito da Venezia nel 1419, all’età di 34 anni, viaggiò attraverso l’Asia, imparò il persiano e l’arabo e abbracciò persino la religione musulmana per non dare nell’occhio. I suoi viaggi sono contemporanei a quelli dell’ammiraglio cinese Zheng He e le sue narrazioni raccontano eventi analogi a quelli degli accompagnatori del grande navigatore ed esploratore cinese. Tra il 1425 e il 1430, Niccolò di Conti visitò il porto di Tenasserim (oggi Tanintharyi nel Myanmar) che faceva parte del regno siamese di Ayutthaya. Di Conti si sofferma sul gran numero d’elefanti visibili nei dintorni della città e l’abbondanza dei legni pregiati. E’ indubbio che la sua narrazione abbia foggiato durevolmente l’immagine che più tardi gli europei si sarebbero fatta del Siam.

Ci vorranno più di 70 anni prima che altri europei mettano piede in territorio siamese. Dopo che nel 1511 i portoghesi ebbero conquistato la città portuale di Malacca, all’estremo Sud della penisola malese, il comandante militare Afonso de Albuquerque, stabilì un avamposto commerciale ad Ayutthaya, la capitale del Siam; ivi ottenne il diritto di praticare la religione cattolica nonchè di costruire una chiesa. In cambio, il Siam esigette e ottenne dai portoghesi armi da fuoco che non poco lo avvantaggiarono nei conflitti con i regni circostanti .

L’arrivo dei portoghesi segnò un cambiamento profondo nella natura delle relazioni tra Siam e Europa. Come per molti altri navigatori italiani, soprattutto genovesi e pisani, gli obiettivi di Niccolò di Conti erano puramente commerciali. Lungi dal viaggiare per conto della Repubblica di Venezia, il chioggiotto navigava in nome proprio. Tutt’altra è la figura di Afonso de Albuquerque : in quanto governatore delle colonie portoghesi in India (Estado da India) rappresentava il re del Portogallo e faceva quindi parte di un’importante ordinamento politico-economico, allora in piena espansione. Inoltre, all’arrivo dei commercianti lusitani fece seguito quello dei missionari cristiani. Portoghesi e, più tardi, spagnoli, francesi ed altri europei si sentivano investiti della missione di diffondere il messaggio della chiesa di Roma in Asia.

Ciò che precede introduce il primo punto chiave del libro e cioè i ripetuti tentativi di attività missionarie e di conversione del re e del popolo siamese messe in atto da alcune potenze europee, con la notevole astensione della Gran Bretagna e dei Paesi Bassi. Questi sforzi furono tanto più insistenti quanto i cristiani dovettero affrontare la concorrenza di altre religioni, già presenti in loco. I missionari arabi e persiani residenti ad Ayutthaya avevavo messo in atto da tempo la diffusione dell’Islam, incontrando d’altronde le stesse difficoltà dei loro concorrenti cristiani. Inoltre, l’azione dei missionari cristiani era paralizzata dalle frequenti dispute tra Gesuiti, Domenicani e Missioni di Parigi.

I monarchi siamesi seppero abilmente eludere i vari tentativi di conversione, manifestando peraltro quella tolleranza che permise agli europei di praticare le loro religioni senza ostacoli. Tuttavia, paradossalmente, tale tolleranza suscitò nelle menti dei missionari la speranza di poter un giorno arrivare ai loro fini. Tuttavia, alcuni monarchi, tra cui soprattutto Phra Narai (1656-1688), piuttosto che ai messaggi spirituali si interessavano più particolarmente alle conoscenze scientifiche dei missionari gesuiti.

Verso la metà del secolo XVII, altre potenze coloniali europee misero gli occhi sul Sud-Est asiatico. L’arcipelago indonesiano era nelle mani dei Paesi Bassi, che ne sfruttavano le risorse per il tramite della Compagnia delle Indie Orientali (VOC ); gran parte delle Filippine apparteneva alla Spagna mentre il Regno Unito, attraverso la propria compagnia commerciale, stava cominciando a prendere piede in India. Nonostante che il Siam disponesse di limitate risorse che attraessero l’attenzione dei commercianti, la sua posizione geostrategica tra dette regioni e il mondo cinese, rappresentava per tutti un polo d’interesse non trascurabile.

Vediamo qui emergere un secondo punto chiave : a differenza dell’Indonesia, dove i mercanti stranieri ebbero a che fare con una moltitudine di principati indipendenti, al punto di non sapere, a volte, con chi negoziare, nel Siam il re riuniva nella sua persona tutti i privilegi commerciali e rappresentava un interlocutore unico. A ciò si aggiunse il fatto che i monarchi siamesi erano generalmente aperti alle relazioni commerciali con l’estero. Di conseguenza, in Ayutthaya e nel resto del regno si installarono numerose agenzie commerciali dove persiani, arabi, giapponesi, vietnamiti e cinesi si contendevano il commercio con portoghesi, olandesi, inglesi e francesi. Ogni delegazione cercava di ottenere benefici e privilegi commerciali speciali, spesso a scapito delle altre, o quanto meno pattuendo la possibilità di fare opera di diffusione della fede.

Si tocca qui a un terzo punto chiave. Di continuo, i sovrani siamesi, fino all’apice degli imperialismi francese e britannico del XIX secolo, tentarono, non senza successo, di manipolare le potenze straniere in un gioco in cui contava solo il proprio interesse. La tattica d’equibrio del potere permise al Siam di evitare la colonizzazione diretta. Ancora oggi questo motivo d’orgoglio è fortemente presente nella concezione collettiva che i tailandesi hanno della loro storia.

L’apertura verso l’estero subì un brusco arresto dopo gli eventi legati all’ascesa al potere e alla successiva caduta di Costantino Phaulkon, all’arrivo di un’ambasciata ufficiale francese e ai vari tentativi d’ingerenza francesi e olandesi nella politica interna del regno. Il Siam si chiuse allora verso l’esterno e i suoi sovrani cessarono i rapporti con le corti europee.

La chiusura durò dal 1690 al 1820, ma una vera e propria riapertura del regno avvenne solo nel 1850, sotto il re Mongkut (Rama IV), costretto ad affrontare la pressione combinata degli imperialismi francese e britannico, attivi in Indocina e Birmania. Al pari dell’imperatore giapponese Mutsuhito, Mongkut cercò di modernizzare il paese secondo il modello europeo, opera continuata dopo la sua morte dal figlio, re Chulalongkorn (Rama V). Attraverso l’equilibrio tra le esigenze francesi ed inglesi il regno riuscì ancora a sottrarsi alla colonizzazione pur continuando la modernizzazione.

A questo punto, Bötefür fa osservare che man mano che aumentava l’affluenza dei viaggiatori stranieri nel Siam, non di rado dotati di macchine fotografiche, i racconti, a volte inverosimili, delle sue origini lasciarono il posto alla presentazione di un paese meraviglioso e misterioso i cui abitanti affascinavano e allo stesso tempo sconcertavano gli stranieri per la loro apparente tolleranza di stampo buddista e il loro carattere mite e xenofilo. Più tardi, giornalisti e romanzieri crearono l’immagine di un paese dove la popolazione praticava simultaneamente il piacere di vivere e le superstizioni, dedicato all’accoglienza dei visitatori non senza una certa ingenuità. Ciò nonostante gli stessi cronisti si misero a rimpiangere il tempo passato, quando gli elefanti bianchi vagavano per le foreste e il turismo non aveva ancora avuto modo di devastare il paese.

I viaggiatori europei e i loro racconti

Da un lato, Markus Bötefür presenta le descrizioni dei viaggi di alcuni europei, scritti tra i secoli XVI e XX. D’altra parte l’autore cita su temi specifici, generalmente religiosi, i ricordi di una mezza dozzina di altri viaggiatori, tra cui due persiani.

Quattro dei diciotto racconti menzionano gli elefanti, mentre gli altri si soffermano sulle abitudini e i costumi siamesi, sui paesaggi fluviali, sul potere, sulla capitale del regno e sull’avvento dei tempi moderni. Ne emergono ritratti del Siam che rivelano sia i cambiamenti di percezione dei viaggiatori, sia i cambiamenti sociali e storici attraverso il tempo.

I testi, spesso tradotti e ritradotti varie volte, furono scritti in portoghese, olandese, francese, tedesco ed inglese. Il libro ne presenta la versione in tedesco.

Per quanto riguarda le varie nazionalità degli autori, si trovano un fiammingo, un’olandese, quattro francesi, sette tedeschi, quattro scozzesi e un’inglese. Gli status sociali, gli interessi e le professioni di questi viaggiatori sono molto diversi e i loro racconti ne riflettono tutta la varietà. Si può deplorare l’assenza di resoconti di viaggiatrici; queste ultime, qualora siano esistite, si muovevano probabilmente all’ombra di padri o mariti. L’ora delle viaggiatrici femminili non era ancora suonata.

Passiamo ora brevemente in rassegna, raggruppati per temi, alcuni racconti di quei viaggiatori foresti, le cui testimonianze tessono un’interessante sfondo per la conoscenza della Tailandia.

1. L’elefante : questo animale feticcio, presente ancor oggi nella vita dei tailandesi, risulta molto amato anche da alcuni viaggiatori stranieri, che descrissero certi aspetti propri allo status e al comportamento dei pachidermi :

Jacques de Coutre (1577-1640), un mercante di Bruges al servizio del Portogallo, fece parte, nel 1596, di una delegazione commerciale portoghese che visitò re Naresuan ad Ayutthaya. Quarant’anni più tardi, suo figlio, Esteban de Coutre, riscrisse il giornale di viaggio di suo padre (“Vida de Iaques de Coutre, natural de Brugas”).

De Coutre descrivendo in dettaglio il funerale di un elefante reale, riferisce che l’animale venne cremato con gli onori dovuti a un sovrano, in presenza del re, della nobiltà e dei monaci buddisti. Il suo racconto è la prima testimonianza europea sulla profonda venerazione che i siamesi professavano per i loro elefanti, al punto da farne degli esseri quasi divini. La storia si conclude con una scena che ricorda le pratiche vigenti anche in altre culture : due conducenti di elefanti, su loro richiesta, vennero immolati e bruciati insieme al loro amato elefante.

Una seconda storia di elefanti è narrata da Jeremias van Vliet (1602-1663), direttore, dal 1633 al 1642, dell’agenzia commerciale della VOC (Compagnia olandese delle Indie orientali) ad Ayutthaya. Autore di quattro libri sul Siam, questo mercante erudito scrisse, tra il 1637 e il 1638, nella sua Beschrijving van de koninkrijk Siam, la prima descrizione dettagliata della vita della metropoli commerciale d’Ayutthaya.

Come de Coutre, anche van Fliet era caduto sotto il fascino degli elefanti e descrisse il ruolo del famoso elefante bianco, considerato in Siam come una meraviglia della natura, degna del solo re. La scoperta e la cattura di un elefante bianco erano considerate come un evento divino e l’animale doveva essere trasferito senza indugio nelle scuderie reali. Dal racconto di van Vliet si deduce che l’elefante detto bianco, è in realtà di colore beige oppure rame.

Claude de Forbin (1656-1733), ufficiale francese di marina, accompagnò nel Siam il cavaliere Alexandre de Chaumont, ambasciatore di Francia. Dopo il ritorno dell’ambasciatore nel suo paese d’origine, de Forbin venne nominato ammiraglio e governatore di Bangkok da re Narai. Lasciò ai posteri le Mémoires du comte de Forbin. Come tanti altri, anche Forbin fu attratto dagli elefanti, che descrisse come animali sensibili e intelligenti, che non dimenticano mai i torti. Sta forse qui l’origine del detto “Avere una memoria d’elefante”.

Henri Mouhot (1826-1861), naturalista ed esploratore francese, noto per avere riscoperto il sito di Angkor in Cambogia, scrisse una storia illustrata intitolata Voyage à Siam et dans le Cambodge, pubblicata nel 1888, dopo la sua morte. In una lettera del 1864 alla moglie Annette, racconta il suo incontro nella località di Chayaphum con un elefante bianco, destinato ad essere trasportato a Bangkok alla corte del re. Mouhot annota che la pelle del presunto elefante bianco era in realtà piuttosto beige o marrone e racconta che l’animale era trattato al pari di una divinità, con i suoi servi, e prendeva i pasti in piatti d’oro. Il cibo prelibato servito all’elefante, consistente in torte, biscotti e dolci, sembra essere stata la causa della sua morte prematura per un problema di stomaco. Da buon scienziato, Mouhot nota i criteri che fanno di un’elefante, anche se di pelle scura, un elefante bianco : ad esempio il colore roseo del palato e delle dita dei piedi.

2. La vita lungo il fiume : alcuni viaggiatori furono sedotti dall’imponente corso d’acqua che attraversa la pianura centrale del Siam. Allora come oggi, il Menam, come lo chiamarono gli europei (una contrazione del suo nome completo, Mae Nam Chao Phraya) costituiva un’arteria importantissima che collegava l’Oceano ad Ayutthaya in un contesto dove le strade erano scarse, dissestate o addirittura pericolose. Per questa ragione le rive del fiume erano occupate da numerosi abitati. Durante il viaggio di risalita ad Ayutthaya, si poteva cosi’ osservare da vicino, oltre al traffico fluviale abbondante e molto pittoresco, anche la vita degli indigeni.

Engelbert Kaempfer (1651-1716) , filosofo e medico tedesco, cui la città natale di Lemgo in Westfalia dedicò recentemente un liceo, viaggiò in Russia, Persia, nelle Indie Orientali e in Giappone, al servizio prima della Svezia, poi dei Paesi Bassi. In occasione del suo viaggio a Nagasaki, trascorse un mese nel Siam ricavandone un racconto pubblicato nel 1695. Partito dalla foce del Chao Phraya, Kaempfer risalì il fiume e descrisse tra l’altro i bellissimi templi incontrati sul cammino, le fortificazioni all’imboccatura del fiume, l’agenzia commerciale olandese costruita su palafitte di bambù. Raccontò poi le disavventure del comandante dell’agenzia con i serpenti e le tigri, numerosi nei dintorni del fiume. Da botanico appassionato, che descrisse per primo il gingko del Giappone e ne porto’ i semi in Europa, cercò di identificare le piante da lui scoperte. Confrontando il Chao Phraya con il Nilo fece notare il ruolo chiave del fiume per l’agricoltura siamese, descrisse le feste propiziatorie che si svolgevano in suo onore, i villaggi su palafitte disseminati lungo il suo corso, i numerosi frutteti e la natura selvaggia e paludosa del fiume presso la foce, piena di animali selvaggi (scimmie, uccelli, felini e rettili) e soprattutto di nuvole di zanzare, “estremamente fastidiose”, che “rendono il viaggio sgradevole e privo di ogni piacere”.

George Finlayson (1790-1823), chirurgo e naturalista scozzese, accompagnò il suo connazionale John Crawfurd in una missione diplomatica e commerciale nel Siam e nel Viet Nam meridionale. I suoi ricordi, che descrivevano gente e natura delle regioni visitate, furono pubblicati postumi nel 1826 (The mission to Siam and Hue in Cochin China). Navigando sul Chao Phraya ebbe l’opportunità di incontrare gli indigeni, che descrisse come gente gentile e cordiale. Finlayson lasciò pure una descrizione fisiognòmica (“scienza” già allora oggetto di critiche), sottolineando in particolare i capelli corti portati da entrambi i sessi, il loro gusto dei denti anneriti, un certo aspetto paffuto e la semplicità dell’abbigliamento.

3. Incontri con il potere : i viaggiatori che, nell’adempimento delle loro mansioni, entrarono in contatto con il governo siamese lasciarono pagine di descrizioni del re, della principessa oppure di qualche governatore di provincia.

Così, Alexandre de Chaumont (1649-1710), primo ambasciatore di re Luigi XIV di Francia, in missione presso la Corte del Siam, convinto che la sua missione consistesse soprattutto nella conversione al cattolicesimo di re Narai e della popolazione siamese, trascurò alquanto la creazione di relazioni commerciali con il Siam. Incoraggiato dall’atteggiamento positivo del consigliere reale Constantin Phaulcon e dalla benevolenza del re siamese, fallì nel suo tentativo, non senza commettere una gaffe storica. Ammesso alla presenza del re ad Ayutthaya, per dimostrare la superiorità del re di Francia presentò la lettera d’introduzione di Luigi XIV a Narai in modo da costringere il re del Siam ad abbassarsi dal trono per prenderne possesso. Di certo questo incidente non contribuì a migliorare l’immagine della Francia e il successo dell’ambasciata. Tuttavia, de Chaumont lasciò un resoconto dettagliato del suo viaggio (Relation de l’Ambassade de Monsieur le chevalier de Chaumont à la Cour du Roy de Siam), che descrisse la vita, la cultura, i costumi dei siamesi, nonchè la Corte d’Ayutthaya. Dal momento che la principessa non gli permise di vederla personalmente, per scrivere un saggio sulla sua augusta persona dovette affidarsi ad una dama della Corte e cioè la moglie di Phaulcon. A 28 anni, bella e indipendente, la principessa era circondata da una corte formata dalle mogli dei mandarini. Amministrava la giustizia, partecipava alle cacce reali, indossava un perizoma e una camicia e portava i capelli corti. Molto curata nella sua persona, si bagnava più volte al giorno. Per de Chaumont quest’ultimo punto costitui’ un’autentica sorpresa, abituato com’era alla poca igiene praticata alla Corte di Versailles.

John Crawfurd (1783-1868), funzionario delle colonie e medico scozzese, era alle dipendenze della Compagnia britannica delle Indie orientali. Amico del fondatore di Singapore, Stamford Raffles, nel 1821-22 fu incaricato dal Governatore Generale del Bengala di una missione commerciale e diplomatica nel Siam e nel Viet Nam meridionale. Fallì nella sua missione, ma lasciò un resoconto (Journal of a mission to the Courts of Siam and Cochin China) relativo, tra l’altro, alla visita al governatore di Pak Nam (oggi Samut Prakan presso Bangkok). La descrizione della visita mette in luce l’arroganza coloniale verso i costumi dei siamesi. Crawfurd, infatti, si dice sorpreso dalle domande molto precise che il governatore gli rivolse circa le ragioni della sua missione, il numero di armi trasportate e il valore dei doni destinati al re. Sapendo che la sua missione fu organizzata da una potenza coloniale da tempo presente in India, si resta sorpresi dalla perspicacia del governatore siamese, descritto da Crawfurd come “disonesto e rapace “.

Capo di una delegazione del governo prussiano e responsabile delle trattative commerciali e politiche con il Giappone e la Cina, il diplomatico conte Fritz zu Eulenburg (1815-1881) visitò il Siam nel 1861. Lasciò una corrispondenza privata, pubblicata dal figlio nel 1900 (Ostasien 1860-62), ove descrisse la sua visita al re del Siam Rama IV il giorno di Natale del 1861. Fin dall’inizio, il diplomatico fu sorpreso dalla somiglianza del re con un aristocratico prussiano di sua conoscenza, anche se Mongkut, a quanto pare, era uso a masticare il betel. Questo re modernizzatore ricevette i prussiani con grande cortesia e maniere squisite, ciò che gli valse la loro simpatia. Sentendo il re dichiarare che la politica coloniale doveva portare alla guerra, i diplomatici prussiani convinsero Rama IV che la Prussia non aveva nessuna intenzione di creare delle colonie nel Sud-Est asiatico. Lo sfondo di questa discussione era costituito dalla presenza francese in Indocina, che il re vedeva con molta preoccupazione; sappiamo che il Siam riuscì a sottrarsi agli imperialismi franco-britannici mediante alcune concessioni territoriali e un sottile gioco diplomatico. L’incontro si concluse con un’esercitazione delle truppe siamesi eseguita, secondo zu Eulenburg “con una grande precisione, in stile inglese”.

Alexander Hamilton (1680-1730), scozzese e capitano di marina, viaggiò per tutto il Sud-Est asiatico e l’Asia orientale. Fu autore di un libro in cui racconta le sue avventure (A new account of the East Indies). Gli scritti sul Siam ostentano un tocco molto personale, con una certa dose d’umorismo. La descrizione del re del Siam è basata su osservazioni dirette e informazioni di seconda mano, visto che Hamilton non fu mai ricevuto dal re. Rileva il carattere divino del monarca, il suo amore dei titoli nobiliari e degli elefanti “bianchi”, gli onori che gli riservano i suoi sudditi. Hamilton non mancò di citare alcune feste rituali come l’annuale traversata d’Ayutthaya a dorso d’elefante, il kathin con la discesa del Chao Phraya in barca reale e l’udienza quotidiana concessa ai mandarini. Le osservazioni di Hamilton contengono un’ombra di atteggiamento irriverente che tradisce il libero pensatore.

4. Bangkok, il sito, le persone, il re : in una delle testimonianze si descrive dettagliatamente la capitale del Siam durante il regno di re Rama V, (Chulalongkorn), re chiaroveggente e riformista che, prevedendo l’arrivo delle potenze coloniali in Birmania e Indocina, aveva incentivato il processo di modernizzazione delle strutture politiche e amministrative del regno nonché la promozione dell’innovazione tecnologica iniziata dal padre.

Il cineasta e scrittore John Hagenbeck (1868-1940), specialista della fauna selvatica e fratello del celebre fondatore di giardini zoologici Carl Hagenbeck, visitò Bangkok nel 1910. La costa siamese, piatta e selvaggia, non gli parve molto interessate, ma avvicinandosi alla capitale rimase piacevolmente sorpreso di scoprire che i dintorni erano animati, verdeggianti e dotati di belle proprietà private. La città, vasta e dall’habitat sparso, si rivelò al visitatore poco a poco. Il profilo del tempio Wat Pho si distaccava dagli edifici bassi che lo circondavano, imponendo al luogo la sua impronta. Al suo arrivo Hagenbeck fece conoscenza con il famoso Hotel Oriental, il meglio che Bangkok poteva offrire ai suoi ospiti. Confrontando le sue attrezzature, il cibo e le conversazioni con quelle degli alberghi “che si possono trovare sulla strada principale che collega Port Said a Yokohama”, non ne rimase oltremodo impressionato. Se l’atmosfera dell’Oriental gli parve dapprima indiana, alla sua prima uscita si rese conto che il paese e il popolo non avevano molto in comune con l’India. La gente veniva descritta come vivace e disinibita, esente da servilismo. Le donne sorpresero il viaggiatore con la loro propensione alle risate e agli scherzi, e, dice Hagenbeck , “non erano eccessivamente pudiche”. Già a quell’epoca, un terzo della popolazione di Bangkok era di origine cinese e dal carattere diverso da quello dei siamesi. Secondo Hagenbeck, se questi ultimi sono poco intraprendenti e lavoratori, tutti dediti ai divertimenti, i cinesi da parte loro posseggono “una mente calcolatrice e un’energia tenace e silenziosa” che valse loro il controllo di tutto il commercio del paese. Pur riconoscendo l’opera di modernizzazione continuata da Chulalongkorn, uomo colto e previdente, Hagenbeck si disse nondimeno scandalizzato dalla persistenza della poligamia alla Corte del Siam, dove il re era circondato da non meno di un centinaio di donne, tra mogli e concubine, e da circa ottanta figli. Era poco rispetto a suo padre Mongkut, il cui harem contava ben ottocento donne e che aveva procreato un numero quasi incalcolabile di figli. Perciò, conclude Hagenbeck, “il Siam è un paese riccamente dotato di principi e principesse, anche se tutti non godono di privilegi reali”.

5. Descrizione dei siamesi e dei loro costumi : è questo ovviamente un tema privilegiato, dato che lo choc culturale doveva per forza colpire i viaggiatori al loro arrivo in una società asiatica altamente strutturata, dotata di un significativo sfondo culturale, sociale e storico.

Padre Nicolas Gervaise (1662-1739) inviato nel Siam nell’anno 1683 per accompagnare una delegazione delle Missioni Estere di Parigi, scrisse, nel 1688, la sua celebre Histoire naturelle et politique du Siam, considerata una delle narrazioni più autentiche del Siam all’epoca in cui fu redatta.

In un estratto sugli indumenti portati dai siamesi, nota la loro semplicità e l’assenza di calzature presso la gente comune in contrasto con il lusso esibito dai nobili, fatto assai simile agli usi del suo paese d’origine. Tuttavia rimase sbalordito alla vista dei capelli corti portati dalle signore che tanto assomigliavano a quelli degli uomini. Ma il religioso resto’ manifestamente sconcertato anche dal costume dei siamesi di annerirsi i denti, i denti bianchi essendo allora considerati di natura diabolica.

Militare e piantatore nel Sud-Est asiatico, lo scozzese James Low (1791-1852) fu il primo straniero ad aver redatto un libro sulla lingua e la grammatica del tailandese. Nel 1836, nel suo libro sulla letteratura siamese, scrisse un passaggio su un costume molto diffuso : l’amore smodato del gioco d’azzardo e delle scommesse degli indigeni. Low attribuì questa mania “alla vivacità del temperamento e la flessibilità delle passioni dei siamesi”. Le donne non erano meno dedite al gioco che gli uomini, e si appassionavano per le corse in barca a remi, i combattimenti di bufali, pesci e galli, il muay thai, pugilato molto cruento e talvolta fatale. Secondo Low, il governo avrebbe cercato di controllare il gioco con l’introduzione di case provviste di licenza, ciò che peraltro non impediva al re di partecipare personalmente a scommesse e pugilati, qualificati da Low di “barbari e indegni della civiltà e del progresso del Regno “.

L’architetto Karl Döring (1879-1941), che oggi chiameremmo un consulente, era entrato al servizio del re Chulalongkorn nel 1906; fu il progettista delle stazioni ferroviarie di Bangkok, Phitsanulok, Uttaradit ed altre città siamesi. Costruì molte residenze private per dirigenti e membri della famiglia reale, creando una fusione tra architettura siamese e stili europei. Le sue memorie furono raccolte in un libro, “Siam : Land und Volk”, pubblicato nel 1923, che gli valse la fama d’esperto di storia e cultura siamese. Notando che i siamesi si definiscono thai (uomini liberi), li descrisse come provvisti di un forte senso di appartenenza nazionale, generosi e disponibili, ospitali, cordiali e allegri, senza essere ne subdoli ne insidiosi. Peraltro questa bella istantanea si ritrovava leggermente appannata dal loro gusto per l’ozio e il gioco, nondimeno riscattata da un’autentica fede buddista e dalle opere caritative a beneficio dei loro monaci. Döring mise anche in evidenza la calma e la flemma dei nobili siamesi, nonchè la loro abilità diplomatica. Ciò che colpi’ l’architetto tedesco fu l’impatto, nefasto secondo lui, del buddismo sulla vita economica del paese, che ne impedirebbe lo sviluppo. In altre parole, i siamesi non parevano sentire lo stesso bisogno prometeico di progresso che gli europei. Paradossalmente, il Döring si dice rammaricato che la nostra civiltà abbia imposto ai siamesi “la lotta per l’esistenza, la modernità e l’obbligo di lavorare, e la maledizione dell’economia capitalista”. L’ incapacità di vedere un nesso di causalità tra i due termini sembra essere abbastanza comune presso molti osservatori stranieri.

6. Rimpianti : infine, un passaggio dello scrittore tedesco Bernhard Kellermann (1879-1951) bene definisce le contraddizioni in cui cascano i visitatori di paesi esotici. Pur deplorando la morte del teatro delle ombre, della danza e del teatro siamesi non sembra essersi accorto delle proprie responsabilità di turista europeo. Scritto nel 1926, il suo racconto profetico Der Weg der Götter denuncia la massificazione degli svaghi attribuendone la responsabilità al cinema statunitense. “Hollywood ha divorato il teatro siamese, come ha divorato il teatro indiano, cinese e giapponese. Chaplin si pasce senza difficoltà degli eroi del Ramayana, come si è pasciuto degli eroi di Shakespeare e di tutte le opere poetiche che non possono essere convertite in sceneggiature. Non c’è speranza alcuna (…) Non possiamo far altro che deplorare la prevedibile scomparsa del dramma siamese”.

Ed è su questa nota un po’ pessimista, ma purtroppo assai realista, che finisce il nostro breve viaggio attraverso il tempo.


Coloro che si interessano alla versione originale e alle citazioni integrali, troveranno qui appresso il riferimento del libro :

Markus BÖTEFÜR, Auf Elefantenrücken durch Siam, Europäische Reiseberichte über das alte Thaïland, 2009, Ostasien-Verlag, Gossenberg, ISBN 978-3-940527-38-7.


 


 

Cosimo Nocera è storico e guida del Museo nazionale di Bangkok. Ha vissuto e lavorato in Italia, Svizzera e in America andina (Perù, Ecuador e Bolivia). Dopo un lungo soggiorno in Asia del Sud-Est, vive attualmente in Svizzera francese.

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